Storie vecchie e nuove della mela di Cupertino, a cura di Nicola D’Agostino

Gestire l’interazione – Intervista a Bruce Horn

La carriera di Bruce Horn è lunga e prestigiosa e comincia allo Xerox Parc. Qui, da studente, ha contribuito allo sviluppo software dei sistemi grafici lavorando in e su Smalltalk, seminale linguaggio (ed ambiente) di programmazione. Dal 1981 al 1983 è stato in Apple nel team che ha creato il Macintosh: Bruce è stato il progettista e principale sviluppatore del Finder e del sistema di metadati tipo/creatore per file e programmi e del Resource Manager.

Bruce Horn and Steve WozniakPiù avanti, alla fine degli anni ’80 Bruce ha contribuito al progetto Newton ed ha fatto parte del prestigioso gruppo di ricerca ATG (Advanced Technology Group) ed ha contribuito anche dall’esterno al mondo Mac, ad esempio lavorando presso Adobe ad uno spooler per la stampante LaserWriter di Apple.
Verso la fine degli anni ’90 ha rivelato che stava sviluppando in maniera indipendente iFile, un’interfaccia rivista e corretta per Macintosh per la gestione dei file basato sui metadati.

In occasione del venticinquennale della nascita del Macintosh abbiamo contattato Bruce che -con grande disponibilità- ha ripercorso le sue esperienze dentro e fuori Apple.
Ecco di seguito cosa ci ha raccontato.

Storie di Apple: Quali sono i ricordi più belli che hai del lavoro sul Macintosh?

Bruce Horn: Il lavorare con Andy [Hertzfeld], Steve Capps, Steve Jobs, Larry e Patti King, Bill Atkinson e gli altri del Mac software team, ma anche Chris Espinosa, Caroline Rose e gli altri dell’incredibile Publications group. Ci vorrebbe una pagina intera per elencare tutte le persone eccezionali con cui ho avuto il piacere di lavorare sul Mac.

SdA: Ci sono eventi strani o curiosi a cui hai assistito o che ti hanno visto protagonista?

BH: Sono tante e consiglio di leggere il bellissimo libro di Andy [“Revolution In The Valley”, ndr]!

SdA: Pensi che lo spirito originario del Macintosh sia ancora presente nell’offerta attuale di Apple?

BH: Assolutamente sì. Il “look and feel” del primo Mac è in gran parte ancora presente e anzi, è stato drammaticamente accresciuto. Ritengo che lo spirito sia stato mantenuto e si sia evoluto nel corso degli anni. Si può ancora riconoscere un Mac come tale e distinguerlo da un PC grazie alla sua singolare) combinazione di facilità, semplicità, potenza e piacere nell’uso.

SdA: L’informatica attuale ha interfacce grafiche, programmazione a oggetti, networking, stampanti laser: pensi che il mondo dei personal computer abbia finalmente raggiunto e diffuso le invenzioni del PARC?

BH: Per molti versi sì, ma per altri no. Direi che il grosso della visione dello Xerox PARC rappresentata dai sistemi Smalltalk è stata copiata e sviluppata ma la natura dinamica essenziale di Smalltalk, la sua capacità di cambiare l’intero sistema dall’interno, non è una cosa facilmente ottenibile con i sistemi attuali. È chiaro che invece cose come il networking diffuso, le connessioni wireless, l’economicità della stampa a colori, le macchine fotografiche digitali e altro ancora hanno notevolmente superato le tecnologie del PARC.

SdA: Andy Hertzfeld afferma che il Finder e il suo approccio spaziale non siano stati influenzati solo dal PARC ma anche dai progettisti dell’Architecture Machine group al MIT. È cosi?

BH: Le mie influenze principali vengono tutte dal PARC e nello specifico dal Learning Research Group -che aveva sviluppato lo Smalltalk, le prime finestre sovrapponibili, i menù a comparsa, l’editing amodale, e così via. All’epoca non è che seguissi granché l’Architecture Machine Group.

SdA: Qualche anno dopo aver creato il Finder sei tornato a lavorare due volte per Apple, prima sul Newton e poi nell’Advanced Technology Group. All’epoca a che punto era lo sviluppo del Newton? Era ancora nello stadio di tablet?

BH: Sì, il Newton era un tablet medio-piccolo ed era all’inizio della sua evoluzione. Io ho aiutato nel determinare quale tipo di linguaggio di programmazione dinamico sarebbe stato il più adatto per lo sviluppo di sistema e ho prodotto una relazione che suggeriva alcune scelte. All’epoca ritenevo che una delle opzioni migliori sarebbe stato un sistema Smalltalk ridotto dato che Apple, in cooperazione con Xerox, aveva creato un’implementazione molto buona che si poteva sfruttare.
Sfortunatamente la cosa non andò mai in porto per contrasti interni. Fu creato anche un altro sistema di sviluppo basato sul LISP ma era troppo pesante e poco efficiente ai fini del Newton. Così Walter Smith si prese la responsabilità di inventare il NewtonScript, che si rivelò un linguaggio molto interessante e alquanto adeguato al dispositivo.

SdA: E dell’Advanced Technology Group? Quanto pura e teorica era la ricerca che vi si conduceva? E cosa pensi della scelta di Steve Jobs di chiuderlo quando tornò, nel 1997?

BH: Il lavoro all’ATG era molto avvincente; abbiamo potuto esplorare numerosi aspetti interessanti che, molto più avanti, sono diventati parte del Mac OS. Con Tom Bonura e Jim Miller ho lavorato su un progetto chiamato LiveDoc grazie a cui Apple Mail può riconoscere alcuni tipi di testo (come nomi, indirizzi, numeri di telefono) e li trasforma in “interattivi”.

LiveDoc in azione

Si può cliccare su un indirizzo e vedere una mappa, facendolo su un numero di telefono si crea un nuovo contatto e così via. La nostra implementazione era ancora più ampia e integrata nella gestione del testo del sistema per cui era disponibile ovunque, in ogni programma.
In quanto all’ATG è un peccato che Steve l’abbia chiuso al suo ritorno ma non si può rinfacciargli nulla. Ha salvato Apple e glie ne siamo grati!

SdA: Cosa pensi dell’iPhone e della sua interfaccia utente?

BH: Semplicemente eccezionale. Adoro il mio iPhone! È probabile che se ci ragionassi sopra un po’ meglio troverei qualche cosina da migliorare ma è talmente un piacere da usare che non ho mai passato molto del tempo a rimuginarci.

SdA: Di cosa ti occupi di questi tempi?

BH: Sono il responsabile in capo dello Sviluppo delle tecnologie NPL, di Natural Language Processing [note in Italia come TAL, Trattamento Automatico della Lingua] presso Powerset, che è stata acquisita lo scorso anno da Microsoft e integrata in Live Search [e poi in Bing].
Il nostro gruppo è responsabile per lo sviluppo di tecnologie chiave per la comprensione del linguaggio, come l’analisi morfologica dello stato finito, il parsing del testo, l’analisi semantica e tutta una serie di strumenti di sviluppo e debugging che rendono il tutto più facile. Alcuni tra i pionieri e le avanguardie della linguistica computazionale sono in Powerset, tra cui […] diversi ex-ricercatori del PARC così che mi sento come a casa.
Abbiamo il compito di migliorare le ricerche online targate Microsoft: le nostre tecnologie hanno un ampio spettro d’impiego e la nostra speranza è di vederle impiegate in numerosi progetti.

SdA: Hai lavorato a lungo ad un tuo progetto, iFile: qual è il suo status? È ancora prevista la sua uscita? E cosa pensi dei rimpiazzi del Finder sviluppati da terzi, come Path Finder?

BH: iFile è stato momentaneamente accantonato. Lavorare presso Powerset richiede molte energie e non ho molto tempo per lavorare ad altri progetti. Quando nel 1999 ho mostrato iFile per la prima volta a Steve Jobs era un prodotto molto in anticipo rispetto ai tempi ma oggi con software specifici come iPhoto e iTunes o aggiunte al Finder come le Cartelle Smart (che facevano parte della mia dimostrazione a Jobs), molte delle funzioni di iFile sono già disponibili anche se in forma un po’ disomogenea.
Non penso di rilasciare iFile così com’è. Se riuscirò a ritagliarmi un po’ di tempo libero rifletterò su qualche nuova rivoluzionaria strada. A questo punto potrei fare un iFile versione 2, qualcosa di completamente diverso basato sul computing distribuito. Non so ancora. :-)

Si ringrazia Federico Giacanelli per l’aiuto con i termini di NPL/TAL e linguistica computazionale.

La foto con Steve Wozniak è stata gentilmente fornita da Bruce Horn. L’immagine di LiveDoc è invece tratta da www.miramontes.com


Aggiornamento: Per Helge Berrefjord segnala una serie di fotografie che ha scattato a Horn alla fine degli anni ’80 all’Università di Oslo

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