Storie vecchie e nuove della mela di Cupertino, a cura di Nicola D’Agostino

I primi font del Macintosh

Nell’agosto del 1983, dopo aver passato più di sei mesi a sfornare simboli e icone per i file e menù del Macintosh, l’attenzione della designer Susan Kare si concentrò su un aspetto che le stava molto a cuore, quello dei caratteri tipografici.

Apple Macintosh Commercial - Susan Kare

All’epoca, sulla stragrande maggioranza dei personal computer, ogni lettera occupava uno spazio identico a prescindere dalla forma. Grazie al suo schermo bitmap ad alta risoluzione (e all’ossessione di Steve Jobs per la calligrafia) il Macintosh era in grado di mostrare font proporzionali, “lasciandosi alle spalle la tirannia degli alfabeti monospaziati con le loro ‘m’ strette e le ‘i’ larghe” come ricorda la Kare.

L’infaticabile progettista Bill Atkinson aveva già dotato il Macintosh di due font, uno calligrafico e uno di fortuna, convertito dai sistemi Smalltalk della Xerox, a cui Apple si era ispirata.

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Libera dalla necessità di realizzare versioni digitali di font preesistenti, scalabili o di versioni per la stampa, la designer puntò a ottimizzare al massimo la leggibilità dei caratteri a schermo creando nuovi font bitmap in grandezze specifiche, operando come suo solito un controllo pressoché totale su ogni pixel.

Molti degli sforzi iniziali della Kare si concentrarono sul realizzare un carattere di sistema da usare nei titoli e nelle voci di menù del Mac, anche in quelle “ingrigite”, nonché nelle finestre di avviso e di dialogo.
Il risultato fu un carattere stilizzato, moderno, pulito e leggibile, talmente riuscito da venire utilizzato come default da Apple per oltre tredici anni sul Mac (sino al Mac OS 7.6), e in seguito adottato anche per l’interfaccia dell’iPod. La Kare lo chiamò scherzosamente Elefont, gioco di parole tra elefante e carattere, ma è diventato celebre con il suo nome ufficiale: Chicago.

L’offerta tipografica del primo Macintosh fu completata con la creazione di diversi altri caratteri, in stili diversi e per gli utilizzi più disparati: graziati, bastone, ma anche gotici, monospaziati, con simboli e persino uno che ricordava le lettere ritagliate dai giornali e usate per comporre richieste anonime di riscatto.

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Per i nomi dei font la Kare chiese consiglio allo sviluppatore ed ex compagno alle superiori Andy Hertzfeld. I due decisero di ispirarsi alle località nella periferia di Filadelfia in cui si fermava il treno che ogni giorno li portava a scuola: Ardmore, Overbrook, Merion… Come mai questi nomi non ci sono familiari? Perché Steve Jobs disapprovò la scelta, e sentenziò che se i caratteri dovevano avere i nomi di città, allora doveva trattarsi di metropoli e non di posti sconosciuti. Fu così che Elefont e gli altri divennero Chicago, New York, Geneva, London, San Francisco, Toronto, Athens, ecc. e anche il font calligrafico di Bill Atkinson venne rinominato in Venice.

Nota: l’immagine di Susan Kare è tratta da una delle pubblicità di Apple per il Macintosh, la schermata con i font dei sistemi Smalltalk di Xerox è tratta da un articolo su BYTE di Larry Tesler, a pagina 120 del numero 8/1981 della rivista. La terza schermata, con quattro font con nomi di città è tratta dall’archivio di Storie di Apple.

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